Leg ssimo Introvigne 12-01-2014
alizzazione delle droghe, argomenti stupefacenti
di Ma
Nel dibattito sulla
legalizzazione della marijuana irrompono i sociologi,
subito ripresi –poteva mancare?– anche da qualche cattolico. Ci si assicura che
«la sociologia» chiede la legalizzazione della droga. L’argomento è stato
formulato nel modo più articolato da Federico Varese – che insegna criminologia
nel dipartimento di sociologia dell’Università di Oxford e di cui ho letto con
interesse gli studi sulla mafia, pur notandovi una certa acidità anticattolica–
in un articolo su La Stampa del 9 gennaio, ma altri si sono prontamente
accodati. In breve, la tesi «sociologica» suona così: quando un comportamento
vietato dalla legge diventa socialmente diffuso non ha più senso vietarlo, e la
legge deve adeguarsi alle preferenze che i cittadini hanno manifestato non a
parole o con il voto, ma con il loro comportamento. Diversamente, la legge
perde credibilità.
Scrive Varese: «Qualsiasi
manuale di sociologia dello Stato spiega che l’apparato di leggi
che governano una società deve corrispondere ai comportamenti individuali più
diffusi». E comunque «non ha senso» criminalizzare percentuali significative,
ancorché minoritarie, della popolazione. Confesso di non conoscere questi
manuali –forse circolano solo a Oxford– ma propongo di diffonderli presso le
donne di certe zone del Messico o dell’India. Sarà per loro una grande
consolazione sapere che per i sociologi di Oxford «non ha senso» criminalizzare
la violenza carnale di gruppo a Ciudad Juarez o in certe periferie indiane, dal
momento che lì è certamente praticata da una percentuale significativa della
popolazione (maschile).
Se le leggi dello Stato debbano
adeguarsi ai «comportamenti individuali più diffusi», anche
quando sono immorali o nocivi al bene comune, o viceversa debbano cercare di
correggerli, non è una questione di sociologia ma di filosofia del diritto. La
posizione di Varese non deriva da alcun principio sociologico, ma dal
relativismo più assoluto, che è una dottrina filosofica e che quando pretende
di diventare legge si fa –secondo l’espressione di Benedetto XVI citata e
ripresa anche da Papa Francesco– «dittatura del relativismo».
È anche una posizione assurda.
Varese ci dice che in Italia urge adeguare la legge al comportamento, perché
siamo il secondo Paese al mondo per consumo di droghe cosiddette «leggere». Ma,
se si comincia a mettere le leggi al passo con il costume, o piuttosto con il
malcostume, perché fermarsi alla droga? Non da altri, ma dallo stesso Varese,
desumo che l’Italia è anche in testa alle classifiche europee quanto alla
corruzione. Il sociologo potrebbe dunque suggerire a qualcuno dei suoi
referenti politici di presentare in Parlamento una proposta molto più
innovativa rispetto ai vecchi arnesi sulla droga: legalizzare in Italia la
corruzione di pubblici funzionari. Forse che non si tratta di un comportamento
socialmente diffuso?
Mi sono permesso, allora, di
portarmi avanti con il lavoro e dare una mano a Varese
–e ad altri colleghi– preparando io stesso una bozza di discorso che uno dei
loro politici di riferimento potrebbe pronunciare in Parlamento. Farebbe
certamente il giro del mondo. Avverto il lettore che non invento nulla, ma che
tutte le frasi le desumo dai testi di Varese e di un altro sostenitore della
legalizzazione della droga, il sociologo e senatore del PD Luigi Manconi,
cambiando semplicemente «marijuana» con «corruzione», «corruzione di pubblici
funzionari» o «bustarelle».
«Onorevoli colleghi, Il disegno
di legge di cui sono primo firmatario non propone, come
qualcuno ha voluto insinuare, la liberalizzazione della corruzione. No,
onorevoli colleghi, in Italia la liberalizzazione della corruzione c’è già. Non
c’è regione, non c’è città del nostro Paese dove le bustarelle non circolino
liberamente. Ce lo dicono le organizzazioni internazionali: l’Italia è tra i
primi Paesi al mondo, forse il primo in Europa, per il consumo di bustarelle.
Il problema, allora, non è la liberalizzazione della corruzione, che è già nei
fatti e nelle cose. Quella che io propongo è la sua legalizzazione, che è cosa
ben diversa.
La sociologia ci insegna che le
leggi debbono corrispondere ai comportamenti sociali più diffusi: che
senso ha continuare a criminalizzare la corruzione di pubblici funzionari,
praticata in Italia da una percentuale minoritaria, certo, ma significativa
della popolazione? Aggiungo che la norma che vieta la corruzione è osteggiata
da una parte significativa anche della classe politica, magari senza troppo
dirlo.
Possiamo immaginare alcune
conseguenze della legalizzazione della corruzione in Italia? Anzitutto,
l’introito fiscale sarebbe significativo. Si potrebbero riscuotere miliardi
creando nuove imposte che andrebbero a tassare ogni singola bustarella, e una
somma compresa tra circa 0,5 e 3 miliardi di euro da imposte sul reddito, se i proventi
da corruzione potessero e dovessero essere regolarmente dichiarati. Inoltre
migliaia di persone oggi in prigione per corruzione uscirebbero dal carcere.
L’amministrazione carceraria risparmierebbe milioni di euro ogni giorno. Vi
sarebbero poi risparmi in altri settori della giustizia, eliminando le costose
indagini e gli ancor più costosi processi per corruzione.
Un altro vantaggio sarebbe
isolare la criminalità organizzata, che in molte regioni d’Italia
ha messo le mani sul business della corruzione di pubblici funzionari. Ce lo ha
spiegato Saviano: i padrini sono proibizionisti e hanno paura della
legalizzazione della corruzione. Le bustarelle sarebbero sottratte alle loro
manovre clandestine e potrebbero essere scambiate alla luce del sole –e sotto
l’occhio vigile del fisco. Alla criminalità organizzata subentrerebbero aziende
dinamiche, nuove società e start-up che potrebbero specializzarsi nella
corruzione, offrendo i loro servizi apertamente e pagando le tasse. Se n’è
accorto anche qualche collega della Lega Nord: le aziende padane, naturalmente
più dinamiche, sarebbero le prime a presidiare il nuovo mercato.
Infine, onorevoli colleghi, c’è
un argomento a favore della legalizzazione della corruzione cui
so essere particolarmente sensibile anche il mondo cattolico. Oggi la
corruzione, in quanto illegale e vietata, è più accessibile per i ricchi che
per i poveri. Si tratta di un’evidente ingiustizia, che la legalizzazione
eliminerebbe. Certo, il valore delle bustarelle non potrebbe essere troppo basso.
La concorrenza libera e legale, però, alla lunga farebbe scendere i prezzi.
Alla fine ci sarebbero bustarelle e forme di corruzione di funzionario pubblico
accessibili quasi a tutte le tasche, eliminando odiose discriminazioni. In ogni
Comune potrebbero anche essere aperti appositi sportelli, dove la corruzione di
un funzionario pubblico potrebbe essere offerta ai meno abbienti a prezzi
politici e sussidiati.
Perché esitare, dunque? Legalizziamo
la corruzione, e legalizziamola subito. Il proibizionismo ha fallito».
Questo sì che sarebbe un
discorso –l’aggettivo è d’obbligo– stupefacente. Naturalmente, ci
sarebbeatorero anche dei rischi. Qualcuno potrebbe consigliare al parlamentare
che ardisse pronunciarlo di cambiare spacciatore. Ma niente paura: gli basterà
rivolgersi al tabaccaio sotto casa, perché con la legalizzazione della droga
ogni tabaccaio sarà trasformato automaticamente in spacci.
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